Privacy Policy Donato D'Elia: "Giocare a scacchi è una battaglia che ti apre la mente" - CUS Caserta

Donato D’Elia: “Giocare a scacchi è una battaglia che ti apre la mente”

CASERTA – In vista del corso online che partirà il prossimo 11 marzo, abbiamo intervistato Donato D’Elia, presidente dell’associazione Follemente Scacchisti di San Nicola La Strada nonché uno degli istruttori del corso insieme a Nicola Santangelo, per farci raccontare la sua passione.

Donato, tu sei il presidente dell’associazione Follemente Scacchisti: raccontaci un po’ come e quando è nata questa storia con gli scacchi.

“Diciamo che è la prosecuzione di un progetto nato a sua volta nel 1980, che allora prendeva il nome di Gruppo Scacchistico Casertano. Io ho preso contatti con questa associazione nel 2014, quando l’attività per la verità era sul punto di sciogliersi, con il vecchio presidente che era andato già via. L’organizzazione era di fatto venuta meno e i giocatori nella sede di Caserta potevano soltanto allenarsi, mentre per tornei e quant’altro erano costretti a spostarsi a Sessa Aurunca, l’unico luogo sul territorio casertano che aveva un club di scacchi affiliato con la Federazione: in pratica dal 2008 al 2014 gli scacchisti casertani erano costretti a questo tipo di trasferta. Siccome nessuno intendeva prendere le redini in mano e dal momento che me la cavo abbastanza bene con le pratiche amministrative, mi proposi di ridare io una riorganizzazione all’associazione di San Nicola. Così in poco tempo ne diventai il presidente: nel momento in cui mi insediai io, appunto nel 2014, il nuovo organigramma era composto da sei-sette persone. Adesso ne siamo trenta. Quindi possiamo dire che in sette anni siamo cresciuti”.

E già che c’eravate avete pensato bene di cambiare anche il nome dell’associazione…

“Sì, il nome Follemente Scacchisti l’ho scelto io. In realtà creai prima l’omonima pagina Facebook, dove condividiamo tuttora questa passione, ma poi, resosi necessario l’adeguamento dello statuto, abbiamo esteso il nome Follemente Scacchisti anche all’associazione. E devo dire che è una denominazione che mi piace molto perché svincola un po’ dal territorio: in genere la maggior parte delle associazioni e dei club è registrata con un riferimento spiccatamente territoriale. Per carità, è bello essere vicini al territorio, ma avere una connotazione più ampia trasmette un senso di universalità che trovo più inclusivo. Del resto io sono di Foggia eppure gioco a scacchi a Caserta”.

Ma la follia è un prerequisito per avvicinarsi allo sport degli scacchi oppure una conseguenza di questo avvicinamento?

“Tutt’e due (ride, ndr). Si tratta di un gioco in cui sei pressoché costretto all’individualismo. Puoi contare solo su te stesso: sei tu da solo contro l’avversario. Negli scacchi perdi solo per colpa tua, e questo può portare a un piccolo esaurimento (ride, ndr). L’autocritica può farsi feroce e l’abbattimento è dietro l’angolo. È uno sport complicato, perché su quella piccola scacchiera avviene una vera e propria battaglia, è un gioco apparentemente calmo che nasconde grande aggressività. Durante una partita si sviluppano combinazioni in un certo senso violente che possono scioccare le persone, per questo dico che un po’ di follia si rende necessaria. Rappresenta quella marcia in più che ti consente di valutare le tue mosse e quelle degli avversari proponendo combinazioni allucinanti. Alcuni grandi giocatori di fama mondiale sembrano davvero degli scienziati pazzi, perché nella loro vita non può esserci posto per nient’altro, nemmeno per il look: pensa che Vassily Ivanchuk si presenta ai tornei in ciabatte…”.

Voglio però sperare che esistano più livelli di passione senza per forza degenerare fino a questo punto…

Sì, certo. Fortunatamente gli approcci sono molteplici. Io ad esempio ho una famiglia, per cui mi fermo al livello didattico senza trascendere nella pazzia, senza avere l’obiettivo di diventare il più forte. Non mi interessa questo agonismo così esasperato. Prediligo lo studio sulla scacchiera, che fatto in un certo modo aumenta la capacità visiva, la memoria visiva. È come se si attivasse una sorta di macchina fotografica nel cervello. Un qualcosa che forse solo il gioco degli scacchi è in grado di sviluppare. Anche per questo in molte scuole d’Italia, anche a Sorrento, gli scacchi sono obbligatori ed entrano nelle pagelle degli alunni. Gli scacchi ti insegnano a ragionare, c’è poco da fare”.

Qual è il profilo medio del giocatore di scacchi?

“Il profilo più comune è quello dell’intellettuale. Essendo uno sport della mente, a differenza di altri sport in cui la componente fisica è preponderante, questo è uno sport a cui si avvicina la persona che non disdegna usare il cervello, chi non lo porta a spasso, insomma. Gli scacchi ti riportano al pensiero, ecco. Ovviamente con ‘intellettuale’ non intendo screditare gli altri, assolutamente. Diciamo che in genere si tratta di persone curiose, a cui piace leggere, e spesso le due cose vanno a braccetto perché è una disciplina in cui bisogna studiare molto. Devo dire che anche i bambini, proprio per la loro curiosità e la naturale associazione che fanno tra gli scacchi e il combattimento con i soldatini, si stanno avvicinando con una frequenza sempre maggiore”.

Prima hai detto che si tratta di uno sport in cui si perde solo per demerito proprio. Ma se la casualità è pari a zero allora in un certo senso dovrebbe essere naturale riconoscere il merito dell’avversario, no?

“Allora, in effetti la casualità è davvero minima. Forse al livello principiante, essendoci meno calcoli in ballo, ci si può trovare per sbaglio in una situazione favorevole. Ma salendo di livello, con i calcoli che aumentano esponenzialmente, nessun colpo di fortuna può farti vincere una partita. Anche perché quella capacità di fotografare i momenti di cui parlavo prima si fa sempre più marcata, assottigliando il margine d’errore. Per quanto riguarda invece il riconoscimento dei meriti dell’avversario, beh, avviene, sì, ma non sempre. Non dimentichiamoci che la componente competitiva è onnipresente, per cui, un po’ come negli altri sport, dopo una sconfitta e soprattutto a caldo non è semplice ammettere la bravura del rivale. Talvolta si sposa un approccio a suo modo anche divertente: è sfuggito una cosa a me perciò tu hai vinto. Ricordo bene un ragazzo che quando vinceva contro di me si pavoneggiava sottolineando l’esclusività del suo merito, mentre quando vincevo io in realtà era lui ad avermi concesso questo e quell’altro. In pratica io i meriti non li avevo mai (ride, ndr)”.

A proposito di questa capacità di fotografare di continuo lo sviluppo del gioco e capire come si è messi realmente, è vero che non sempre alla superiorità numerica sulla scacchiera corrisponde di fatto una superiorità nel gioco?

“Verissimo. Questo è il concetto-chiave del gioco degli scacchi. A tal proposito si parla di posizione. Un mio pezzo posizionato bene ne può valere due o più dei tuoi. A differenza della partita tattica, in cui la finalità è quella di guadagnare un pezzo dell’avversario materialmente mediante la cattura, il vantaggio posizionale riguarda una disposizione vincente sulla scacchiera che prescinde dal numero dei pezzi e che può portarti avanti anche di una regina. Il vantaggio posizionale alla lunga ti porta a vincere, ma siccome si tratta di un vantaggio potenziale, non definitivo, a differenza della cattura, per conservarlo fino alla fine devi stare sempre attento”.

In virtù del vantaggio posizionale, quindi, in seguito a un’analisi costi-benefici la decisione di non catturare può inserirsi in una strategia ben più ampia?

“Certo. La strategia negli scacchi è tutto. Il ragionamento è continuo. Infatti negli scacchi puoi giocare bene anche 60 mosse, ma poi arrivi alla mossa 61, sbagli e perdi tutto. Io ad esempio ho recuperato tantissimi finali. Spesso in posizioni svantaggiose rubavo finali e ribaltatavo la situazione. Un aspetto positivo è che se anche ti trovi in netto svantaggio si può recuperare sempre. L’errore è dietro l’angolo e, a seconda dei casi, bisogna evitarli e allo stesso tempo essere bravi a sfruttarli, a volgerli a proprio vantaggio. In questo senso la tenuta psicologica è fondamentale”.

Che impatto avrà o già sta avendo la fortunata serie TV La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit) sullo sviluppo di questo gioco?

“Secondo me la serie TV in questo senso è utilissima. Ha messo in luce innanzitutto che anche una donna può avvicinarsi agli scacchi ottenendo grandi risultati, ha evidenziato a dovere la bellezza di questo sport, il suo dinamismo, la pazienza e la determinazione che servono per diventare veramente bravi. Senza dimenticare la sana aggressività, una componente necessaria. Infatti gli scacchi sono paragonabili in un certo senso alla boxe. Ad esempio in Olanda praticano una disciplina chiamata scacchi-boxe, in cui si alternano sessioni di scacchi e sessioni di boxe, perché sono due discipline che condividono lo stesso genere di aggressività, sempre nel rispetto delle regole, è chiaro. Tornando alla serie TV, le persone si sono eccitate osservando queste straordinarie combinazioni messe in atto dalla protagonista Beth Harmon (Anya Taylor-Joy), situazioni di gioco estrapolate da partite storiche realmente giocate e accuratamente selezionate, partite che evidenziano la complessità e il fascino degli scacchi”.

Nella tua esperienza hai registrato uno scarso interesse delle donne per gli scacchi?

“Devo dire di sì. Ma credo che c’entri il fatto che l’uomo mediamente è più paziente della donna. Io ne sono fermamente convinto. Intendiamoci: la donna ha altre qualità, ovviamente! Però sulla pazienza forse noi abbiamo qualcosa in più. Senza voler generalizzare, sia chiaro, le donne tendenzialmente non amano stare troppo tempo nello stesso posto, sedute per due-tre ore. Sono portate a pensare che quel tempo potrebbe essere impiegato meglio facendo altre mille cose, perché la donna tende sempre ad ottimizzare. Forse l’uomo è più sognatore, mentre la donna è più pragmatica”.

Ma adesso, tra  follia, complessità, aggressività, pazienza, studio, competizione, chi leggerà quest’intervista avrà paura di iscriversi al corso…

“Ma no (ride, ndr). L’aspetto didattico sarà prevalente e il corso non verterà sull’agonismo. Come detto, a me interessa divulgare gli aspetti qualitativi. Sviluppare cioè la memorizzazione della posizione e il calcolo delle varianti, anche se in partita non capiterannno mai quelle situazioni: gli esercizi che faremo fare sono finalizzati all’apertura della mente, all’incremento dello spazio visivo”.

Insomma non impazzirà nessuno?

“No, non impazzirà nessuno, tranquillo. Lo posso sottoscrivere.  Chi parteciperà al corso avrà solo benefici dal punto di vista intellettivo”.

A cura di Luigi Fattore

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