Privacy Policy Triathlon, D'Acunto: "Ho cominciato per colpa di quel rompi... di Rubino De Ritis". Intervista ai professori duellanti - CUS Caserta

Triathlon, D’Acunto: “Ho cominciato per colpa di quel rompi… di Rubino De Ritis”. Intervista ai professori duellanti

Chiacchierata con due professori ordinari della Luigi Vanvitelli, Salvatore D’Acunto (Economia Politica) e Massimo Rubino De Ritis (Diritto Commerciale), grandi appassionati di triathlon che si approcciano allo sport in maniera diversa e amano punzecchiarsi e sfidarsi di continuo.

Come nasce questa passione per il triathlon?

RUBINO: “E’ nata per caso perché il figlio di mio cugino era triatleta e cominciò ad occuparsi dell’organizzazione delle gare di triathlon. Quando andai a questa prima gara che si svolse all’Hippocampus, diedi una mano nell’organizzazione e feci da aiuto. In quell’occasione mi decisi a provare in prima persona. Ricordo anche che un giorno incontrai una donna che stava nuotando e che mi disse che anche lei era una triatleta e mi disse che ero bravo… mi iscrissi alla gara 2010. Arrivai tra gli ultimi, ma fui intervistato. E la cosa incredibile è che questa intervista andò in onda poco prima di una trasmissione sul calcio, per cui coloro che aspettavano le notizie sul calcio, già sintonizzati sull’emittente privata, mi intravidero nel servizio precedente, così il giorno seguente anche gli studenti mi chiesero cosa stessi facendo là e cosa fosse il triathlon”.

D’ACUNTO: “Io ho cominciato per colpa sua (Rubino). Perché proprio nel periodo in cui lui iniziò a praticare triathlon cominciò a rompere il ca**o in una maniera assurda. Inoltre io all’epoca non ero in forma smagliante, avevo pancetta etc… pesavo 85 chili… e lui insisteva con questo triathlon… accusandomi di essere in sovrappeso… e a un certo punto mi decisi più che altro perché non avevo più voglia di sentirlo. E decisi di allenarmi per fargli un cu*o così! Anche perché ero sempre stato un buon nuotatore e anche con la bici me la cavavo, invece non avevo mai fatto corsa, anche per via di un problema alla caviglia che mi portavo da tempo. Alla fine comunque iniziai ad allenarmi e pian piano persi una decina di chili. Così partecipai anch’io alla mia prima gara, anch’io all’Hippocampus, arrivando tra gli ultimi. Devo dire che l’ambiente del triathlon mi piace, è goliardico rispetto ad altri ambienti sportivi tipo running o ciclismo, che al contrario sono caratterizzati da un certo fanatismo”.

Il triathlon è semplicemente la somma di tre discipline (nuoto, bici, corsa) oppure, in virtù della teoria olistica, va ben oltre la somma delle singole parti?

RUBINO: “Senza dubbio è una disciplina sportiva diversa. Nella quale è importante riuscire ad avere una buona costanza nelle tre fasi, e soprattutto essere abili e rapidissimi nelle transizioni, ovvero nei passaggi da una fase all’altra…”.

D’ACUNTO: “Le transizioni sono il momento più complicato. Perché tu smetti di usare certi muscoli e devi usarne degli altri che però sono freddi: ad esempio mentre nuoti usi pochissimo le gambe, che invece subito dopo la nuotata ti servono perché devi correre e andare a prendere la bici. Ricordo che la prima volta che lo feci fu terribile. Anche perché in quel momento, preso dall’agonismo, vorresti andare veloce come lo sei stato in acqua, ma appunto non puoi perché le gambe sono fredde. Solo col tempo impari a gestire le energie, e che ad esempio negli ultimi 200 m del nuoto è il caso di spingere di più con le gambe proprio per allenarle in vista della pedalata che ti aspetta”.

RUBINO: “Si può dire che un triatleta si giudica proprio dal comportamento nelle transizioni. Perché puoi essere un bravo nuotatore, un bravo ciclista e un bravo runner, ma se toppi in quella fase difficilmente vincerai una gara. Inoltre con l’acquisizione dell’esperienza affini sempre più le tecniche di passaggio da una fase all’altra, anche in termini di equipaggiamento, con scarpe particolari a sgancio rapido, scarpe montate sulla bici. Voglio aggiungere che si tratta anche di uno sport molto strategico, nel senso che in certi momenti, se un avversario è più bravo di te nella corsa, ad esempio, può essere utile mettersi nella sua scia e fare meno fatica”.

D’ACUNTO: “Infatti questo è il segreto: è uno sport molto tattico. Quelli bravi prendono la scia anche nel nuoto. Perché una cosa è nuotare senza persone davanti e un’altra cosa è nuotare nell’acqua già smossa. Il vantaggio sta nel mettersi dietro alla persona che ha la nuotata regolare, restando a una distanza di 30 cm… “.

RUBINO: “Considera che le gare di triathlon tendenzialmente si svolgono in acque libere, con tutti gli atleti che partono vicini, è una sorta di tonnara… è complicato anche scegliere le traiettorie giuste, scegliere dove respirare, se a destra o a sinistra…”.

D’ACUNTO: “Lui ad esempio è molto bravo a scegliere le traiettorie. Nuota una chia***a, ma è bravo a scegliere le traiettorie”.

RUBINO: “Lui è più veloce in piscina che in acque libere… “.

Cosa si potrebbe fare per incentivare gli studenti alla pratica del triathlon o dello sport in genere?

D’ACUNTO: “Attribuire dei crediti formativi”.

RUBINO: “Sì, a questo ci si può arrivare. Magari per gradi. Perché anche a livello nazionale troviamo diversi CUS che hanno delle strategie di questo tipo. Il problema è questo, ovvero capire che il triathlon è una disciplina che ti consente di imparare la gestione delle energie. Devi avere tre discipline pronte. E’ come dover andare a fare lo stesso giorno tre esami senza soluzione di continuità…”.

D’ACUNTO: “Ti insegna a imparare in parallelo tre cose diverse”.

RUBINO: “A me il triathlon ha aiutato anche come professore, quindi immagino che anche gli studenti potrebbero trarne dei benefici, perché io e D’Acunto abbiamo anche studiato come allenarci. In vista di una maratona non puoi pensare di allenarti due giorni prima. Molti studenti invece fanno proprio questo con gli esami: pretendono di essere preparati studiando solo la notte precedente. Invece la preparazione più importante è quella che si acquisisce giorno dopo giorno. Così come la ripetizione orale la devi svolgere diverse settimane prima. Inoltre, così come prima della gara non vai a ubriacarti, la sera prima dell’esame non devi studiare troppo. Il triathlon mi ha insegnato anche qual è il sistema migliore per allenare gli studenti a studiare. Capire il concetto di efficienza: maggior risultato con il minimo sforzo, senza dispersione di energie”.

Tornando ai crediti formativi…

RUBINO: “Così come i crediti vengono attribuiti in seguito alla partecipazione a convegni, seminari e quant’altro, inserire lo sport tra queste attività sarebbe senz’altro positivo: ben venga! Anche gli scacchi!”.

D’ACUNTO: “Premiare l’impegno intellettuale, che è presente anche nello sport”.

RUBINO: “Perché spesso passa l’idea che lo sport sia solo sbattersi, invece coinvolge e tanto anche la mente…”.

D’ACUNTO: “Studio e sport sono due ambiti molto complementari. Da un lato l’approcio scientifico di chi studia si traduce in una pratica sportiva più consapevole; dall’altro la pratica sportiva ti cambia l’approccio allo studio, ti insegna appunto la gestione. Devi capire che devi arrivare alla fine da solo, ti insegna l’equilibrio, non puoi spararti tutte le cartucce subito. La regolarità è la chiave. Gradualità dell’apprendimento e della preparazione: esercizi che si aiutano molto”.

RUBINO: “Io posso assicurare che il mio livello di concentrazione nello studio e nell’attività di professore da quando pratico sport è salito”.

Salvatore D’Acunto (a sinistra) e Massimo Rubino De Ritis immortalati (e spavaldi) a Palazzo Melzi al Dipartimento di Giurisprudenza di Santa Maria Capua Vetere

Quando si parla di sport universitario il primo modello che viene in mente è quello degli Stati Uniti. Qui mi rivolgo all’anima imprenditoriale che abita in Rubino de Ritis e a quella economica che abita in D’Acunto: è possibile replicare in Italia quel modello? E se è possibile, quale sarebbe la prima cosa da fare?

RUBINO: “Il problema nasce dalla scuola. L’università non può arrivare a colmare un vuoto pregresso. L’università non può sostituirsi per intero a qualcosa che non c’è stato assolutamente. Un altro problema è che mentre negli Stati Uniti i grandi sportivi vengono scelti nell’ambito studentesco, in Italia si è sempre preferito portare i ragazzi nelle società private o nelle polisportive. I CUS tendono a rimediare a un vuoto e gli studenti non hanno la possibilità di immaginare che l’università possa essere un luogo deputato anche allo sport… Anche io sono venuto a conoscenza del CUS solo quando sono diventato professore, prima non ne avevo mai sentito parlare…inoltre ignorare che all’università sia possibile fare sport comporta allo stesso tempo un’assenza sia della domanda che dell’offerta. Va detto anche in Italia quando si fa sport privatamente l’attenzione si sposta inevitabilmente sui più bravi, mentre lo sport scolastico e/o universitario imporrebbe un’attenzione generale che prescindesse dalla competitività. Si dovrebbe interveniree anche per contenere questa competizione esasperata, che rischia di segnare per sempre un ragazzo”.

D’ACUNTO: “Io a dire il vero negli anni ’80 ero iscritto al CUS come studente, frequentavo la piscina della Canottieri… Però voglio aggiungere che in Italia per fare sport a un certo livello i canali più battuti sono altri: L’Esercito, i Carabinieri e la Guardia di Finanza. Il canale di reclutamento degli sport olimpici è sempre stato questo. C’è anche un fattore storico, perché questi circuiti, questi corpi ci tengono a mantenere questa posizione all’interno dello sport nazionale. Inoltre lo sport è anche un validissimo strumento per favorire, legittimare ulteriormente il loro ruolo all’interno dello Stato. E’ marketing a tutti gli effetti”.

Dal momento che spesso svolgete queste attività contemporaneamente, vi chiedo: è più difficile studiare, tenere le lezioni all’università, allenarsi o stare a dieta?

RUBINO: “Stare a dieta”.

D’ACUNTO: “Stare a dieta. Anche se c’è una cosa che non hai citato che è la burocrazia, ovvero il rapporto con le piattaforme informatiche: un giorno neanche troppo lontano romperò un computer perché questa burocrazia sta diventando insopportabile. La vita del professore ormai è caratterizzata dal rapporto continuo con le piattaforme informatiche, ovviamente tutte diverse e tutte dotate di una password diversa. Ormai abbiamo 85 password… e non so più dove scrivermele… Quindi direi al primo posto questo, subito dopo la dieta”.

Il celebre sorpasso di Capua: Rubino De Ritis beffa D’Acunto al fotofinish

Convenite allora che in un certo senso è più difficile non fare che fare…

D’ACUNTO: “Sì, però considera che il triathlon è anche un valido mezzo per non farla, la dieta. Dopo una gara di triathlon puoi mangiare quello che cavolo vuoi…”.

Quante calorie si bruciano in una gare di triathlon?

D’ACUNTO: “Almeno 3000”.

Immagino cosa possiate ingurgitare dopo una gara, allora…

RUBINO: “In genere lultima gara della stagione è il pasta party, è lì arriviamo sempre primi (ride, ndr)”.

E’ più gratificante battere un proprio record personale o ottenere la partecipazione degli studenti nel corso di una lezione?

D’ACUNTO: “Si tratta di due record personali”.

RUBINO: “Concordo”.

D’ACUNTO: “Anche se quello dei record personali è un concetto che andrebbe approfondito, perché credo che io e Massimo abbiamo idee differenti”.

Approndiamo.

D’ACUNTO: “Io gareggio essenzialmente con me stesso. Per me l’avversario è un punto di riferimento, ma essenzialmente non me ne frega granché”.

Anche se si chiama Rubino De Ritis?

D’ACUNTO: “Se si chiama Rubino è un altro discorso”.

Ah, quindi non si tratta di una legge universale…

D’ACUNTO: “No, perché lui è un rompiscatole… Perché se sai che qualora arrivasse prima di te in una gara poi ti prenderà in giro per sei mesi, allora fai di tutto per batterlo. Però a parte questa eccezione, la competizione non mi interessa. O meglio, mi piace la competizione con l’altro perché è uno stimolo a fare meglio, ma non perché devo per forza vincere o arrivare prima del mio avversario. Però, siccome ho capito che funziona così, ovvero che se ti alleni da solo poi non otterrai mai la performance che otterresti allenandoti con un avversario, allora in un certo senso la accetto”.

RUBINO: “Invece per me è relativo. Nel senso che il mio approccio allo sport non è di tipo assoluto: non gareggio con me stesso ma con gli altri. Per me lo sport è anzitutto la gara. E’ l’esistenza stessa della gara a farmi dare quel qualcoa in più durante gli allenamenti, è la competizione che mi fa uscire di casa alle 6 del mattino per allenarmi. Io infatti, scelgo sempre di gareggiare nei giorni in cui il Napoli gioca in casa: perché essendoci meno concorrenza ho più probabilità di andare sul podio, perché magari i nuotatori più bravi quel giorno hanno optato per un’altra sessione (ride, ndr)”.

D’ACUNTO: “Però ti inviterei a rivedere questa tua posizione…”.

RUBINO: “Perché?”.

D’ACUNTO: “Perché qualche settimana fa mi hai confessato di essere rimasto deluso per un tuo tempo, più alto di qualche minuto rispetto a quello di un anno prima. A un certo punto hai quasi ammesso di stare invecchiando… ti stavi rapportando a te stesso in quel momento…”.
RUBINO: “Sì, può darsi, sarà stato un momento… però era comunque una riflessione legata allo spirito competitivo”.

D’ACUNTO: “Però diciamoci la verità, perché ci diamo allo sport? Qual è il motivo scatenante? Quello di esorcizzare un po’ l’età che avanza. E’ comunque bello stare in forma quando non si è più giovanissimi”.

D’Acunto e Rubino durante una transizione

RUBINO: “Infatti manco a farlo apposta parecchi triatleti sono manager, imprenditori, professionisti, persone che hanno raggiunto una certa maturità e/o realizzazione e che la riversano anche nello sport. Il buco si viene a creare nell’età di mezzo. Perché magari i ragazzi iniziano a fare sport, poi però quando ancora non hanno raggiunto la sicurezza economica abbandonano la pratica sportiva e si buttano sul lavoro. Questo è l’errore”.

D’ACUNTO: “Questo è successo anche a noi. Io fino ai 28 anni sono stato un grande sportivo, poi ho iniziato a lavorare all’università, con tutta quella competizione al suo interno, ho finito per smettere per 20 anni”.

RUBINO: “Io non voglio che quelli che vengono dopo di me facciano il mio stesso errore. Io cominciai l’atletica leggera a 18 anni, ero forte. Quando mi accorsi che non potevo studiare mollai tutto e mi concentrai soltanto sullo studio: una sciocchezza. Perché a un certo punto gli allenatori, sbagliando, ti ponevano davanti a una scelta: o ti alleni ogni giorno oppure è inutile che vieni, e al contempo l’impegno che richiedeva lo studio era sempre crescente. Per me invece andare a fare sport deve essere come bersi una birra con gli amici…”.

D’ACUNTO: “Però, scusa, questo fa un po’ a pugni con l’idea che la competizione è sovrana…”.

RUBINO: “Questa contraddizione che dici tu, mi rendo conto, è proprio quel tipo di mentalità che mi hanno inculcato e che mi ha fregato”.

D’ACUNTO: “Dovremmo tentare di definire una via di mezzo in cui lasciare un po’ in disparte la competitività, sia dalla dimensione sportiva che da quella professionale. Quest’idea che facciamo meglio solo se competiamo con gli altri ci sta sfuggendo di mano… Anche in ambito economico i risultati migliori sono nati dalla cooperazione e non dalla competizione e dalla concorrenza sfrenata. Poi semmai il problema è capire come convincere o costringere la gente a cooperare…”.

Il medagliere personale di Massimo Rubino de Ritis

Quale qualità ruberesti al tuo avversario?

D’ACUNTO: “La cazzimma”.

RUBINO: “La capacità di programmare gli allenamenti in vista di una gara. Io invece sono un tipo anarchico”.

Dal momento che siete entrambi molto attivi sui social, volevo chiedervi: chi è il più vanitoso?

D’ACUNTO: “Ma che domanda è? Non c’è confronto. Vince Rubino”.

RUBINO: “Infatti nel nostro gruppetto di triatleti dico sempre: <<Ragazzi, non ci interessa del risultato ma della resa del gesto atletico nelle foto!>>.

Nella vita serve di più il diritto commerciale o l’economia politica?

RUBINO: “Il diritto commerciale per fare i soldi e l’economia politica per capire il mondo”.

D’ACUNTO: “Per me il diritto commerciale è inutile”.

Intervista a cura di Luigi Fattore

Segreteria CUS Caserta

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