Mister, il bilancio del CUS al termine dell’esperienza in Coppa Italia Serie D è impietoso: quattro partite, quattro sconfitte e nessun set portato a casa. I numeri sembrerebbero raccontare un disastro. Esiste una lettura alternativa?
“Assolutamente esiste una lettura alternativa, anzi, la lettura è una e a mio avviso è molto semplice. Il gruppo iniziale era esiguo, il tempo a disposizione ridotto, e il materiale umano era giovane e abituato a confrontarsi con avversari di Prima Divisione, ecco perché credo che l’obiettivo minimo, che era quello di schierare una squadra che almeno sapesse stare in campo, è stato raggiunto, al di là del risultato. Certo, forse un set avremmo potuto portarlo a casa, ma, ripeto, sono soddisfatto del lavoro svolto”.
A proposito di set sfiorati, ripensa ancora alla seconda frazione del match casalingo contro Afragola, dove il CUS è arrivato al set point?
“Sì, quello è l’unico rammarico. Diciamo che sul più bello è venuta meno la cattiveria agonistica, la ‘cazzimma’, come si dice in questi casi, e quindi abbiamo sciupato una buona opportunità per rendere l’esperienza della Coppa Italia un po’ più interessante. Però, ripeto ancora una volta, a prescindere da tutto sono contento perché le nostre avversarie erano più attrezzate di noi, e in campo la differenza, soprattutto nelle prime due partite, si è vista”.
Nelle prime partite la squadra faceva fatica a stare in campo, forse non poteva definirsi nemmeno squadra, ma solo un gruppo di giocatori…
“Certo, e probabilmente anche io ho commesso degli errori di valutazione, perché ho dato per scontati alcuni meccanismi che evidentemente scontati non erano. E allora, pur avendo pochi allenamenti a disposizione, ho incentrato il lavoro sul posizionamento in campo, sulle distanze da rispettare, sulla postura, e devo dire che nel terzo e nel quarto match ci siamo mossi da squadra e non da gruppo. E questo per un allenatore rappresenta un motivo di soddisfazione”.
Si può dire che questa esperienza è stata costruttiva anche per lei?
“Assolutamente sì. Lo stop forzato a causa della pandemia è un qualcosa che difficilmente dimenticheremo, ecco perché essere tornati in campo dopo un periodo lunghissimo di inattività ha rappresentato un ritorno alla normalità. È stato bello riassaporare il clima della palestra, parlare di obiettivi, situazioni tecnico-tattiche, respirare aria di agonismo. E anche vedere i ragazzi divertirsi e partecipare è stato incoraggiante per il futuro”.
La partecipazione dei ragazzi si è vista soprattutto nella disponibilità che hanno dato a ricoprire ruoli non loro. E qui torniamo ancora al concetto di squadra…
“Sì, il rapporto con i giocatori per un allenatore è tutto. Io sin da subito sono stato molto schietto con loro sia sugli obiettivi da raggiungere sia sui deficit tecnici su cui bisognava lavorare e parecchio pure, senza contare che per motivi di studio e lavoro abbiamo perso per strada pedine importanti come Evangelista e Volpe. Ecco perché per cercare di equilibrare queste situazioni in funzione di un migliore rendimento collettivo ho apportato alcuni accorgimenti tattici, spostando ad esempio una banda (Buanne) al centro e un libero (De Lucia) in palleggio. I ragazzi non solo hanno capito le esigenze di squadra, ma si sono applicati senza storcere il naso”.
Insomma, si è creato un bel gruppo di lavoro.
“Certo. Si è creato un bel gruppo di lavoro che l’anno prossimo, magari con qualche innesto e con un aumento delle ore di allenamento, potrà ulteriormente migliorare. Ma sarà ovviamente la società a decidere se proseguire o meno l’avventura con il volley maschile”.
A cura di Luigi Fattore
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