Calcettista, capitano, dirigente, allenatore, consigliere e vice-presidente: se c’è una persona in grado di raccontare lo spirito d’appartenenza che anima il Centro Universitario Sportivo di Caserta, questa è Domenico Crispino, membro della famiglia CUS, e in più ruoli, dal lontano 2006.
Domenico, la prima domanda è tanto banale quanto obbligata: come e quando è iniziata la tua storia con il CUS Caserta?
“Tutto iniziò in occasione di un’amichevole tra la mia società di calcio a 5 di Capua e il CUS Caserta. L’allora allenatore del CUS, Guido Ventimiglia, mi vide e mi propose di partecipare ai Campionati Nazionali Universitari, e io accettai di buon grado. Avevo 18 anni, sto parlando del 2006.”
Come mai poi decidesti di consolidare il rapporto con il CUS prendendo parte anche all’attività federale?
“Dopo questo primo contatto, i CNU di Campobasso, l’anno successivo decisi di iniziare anche l’attività federale con il CUS Caserta. Una decisione che definirei naturale, in quanto quando entri a far parte di questo ambiente è difficile poi uscirne. Si respira passione allo stato puro, anche perché, a differenza di altre società, non sono previsti compensi per i giocatori. Inoltre, il CUS Caserta è la società che vanta la storia più ‘antica’, se così si può dire, nel panorama calcettistico casertano. Da lì in poi, il rapporto si consolidò sempre più, perché, oltre a 6 anni consecutivi di CNU, in cui siamo stati a Torino, Milano, Messina, Campobasso, Cassino, si affiancava anche l’attività federale a livello regionale.”
Domenico Crispino: “Bisogna inculcare anche nei giovani universitari lo spirito di appartenenza al CUS Caserta, facendoli innamorare del calcio a 5, dello sport in generale, e dell’ambiente”
Oggi i ragazzi fanno sempre un po’ di fatica a conciliare sport e studio, mentre tu sei un chiaro esempio di come le due cose possano coesistere.
“Io penso che sia una necessità. Nel momento in cui uno si dedica allo studio o al lavoro, ha bisogno di un momento di svago, e questo momento di svago per me è lo sport. Il calcio a 5 non l’ho mai considerato come una mera attività fisica, ma anche, forse soprattutto, come occasione di socializzazione, come possibilità di stringere nuovi legami e consolidare amicizie. Nel caso del CUS Caserta, ovviamente, tutte queste interazioni avvengono a un livello superiore, in quanto si può parlare di una vera è propria famiglia che si è creata nel corso degli anni. Da questo punto di vista, oltre a Enzo (il presidente Vincenzo Corcione, ndr.) con cui ho condiviso l’intero mio percorso oltreché un’amicizia decennale, mi piace ricordare l’ex presidente Michele Pinto, Guido Ventimiglia, Piero Bellofiore, Dario Lepore, Francesco Duranti, Agostino Santillo, tutte persone eccezionali protagoniste di un capitolo importantissimo della mia vita.”
Si può dire che al CUS si condividono valori diversi rispetto ad altre realtà?
“Assolutamente sì. La mia scelta di giocare nel CUS Caserta è nata proprio dai valori di cui sopra, un qualcosa che a un certo punto si desidera tramandare, in particolar modo mi riferisco allo spirito di appartenenza, che ancora esiste. Ecco, l’appartenenza è l’emblema di questo ambiente, ed è bello condividerla.”
Nel corso della tua lunga storia con il CUS hai ricoperto davvero tutti i ruoli, da quello di calcettista a quello di vice-presidente, passando dalla carica di dirigente a quella di allenatore: puoi raccontare questa escalation di responsabilità?
“Ogni ruolo che ho ricoperto ha le sue responsabilità, di grado differente e legate anche all’età. Io ho vissuto con grande responsabilità anche la maglia da calcettista, così come la divisa da dirigente o la tuta da allenatore: una vera e propria escalation, hai detto bene. Ovviamente, da ultimo, con la carica di vice-presidente, che ricopro dal 2018, è normale che la visione del CUS è diventata più ad ampio raggio; ma alla base lo spirito di appartenenza è il medesimo. Un percorso condiviso e, credo di poter dire, meritato, visto l’attaccamento che ho dimostrato in tutti questi anni nelle varie posizioni ricoperte.”
Proprio per la tua storia all’interno del CUS Caserta, storia tra l’altro ricca di soddisfazioni, come hai vissuto, quest’anno, la mancata qualificazione ai CNU della rappresentativa di calcio a 5?
“L’ho vissuta male. A Campobasso fu l’inizio di un’epoca virtuosa, perché insieme al CUS Udine siamo stati gli unici a qualificarci e ad andare a medaglia per sette anni consecutivi: questo ovviamente era motivo di grande orgoglio. Era diventata una normalità, anche agli occhi degli altri CUS. Io credo che il Covid abbia inciso molto. Inoltre mi preme dire che ogni anno la qualificazione ai CNU è stata un qualcosa di veramente grande, forse non sottolineata abbastanza. CUS molto forti, con giocatori di altre categorie, si sono dovuti arrendere al nostro spirito di gruppo. Spirito che, purtroppo, quest’anno è venuto meno. Ma, si sa, nello sport come nella vita, i cicli finiscono. Speriamo di aprirne un altro già a partire dal 2023.”
Cosa si può fare per recuperare questo spirito?
“Io credo che si debba partire da figure che conoscono questo ambiente. Perché quello del CUS Caserta comporta responsabilità più alte di quelle che si assumono in altri contesti. Avere un ruolo al CUS significa interpretarlo in maniera seria e professionale. Lo ripeto ancora: qui il ritorno non è di tipo economico, ma è legato a valori da tramandare. Ecco, bisogna partire da questo e da giovani universitari, farli crescere, rendere più solido il rapporto con l’università, far innamorare i ragazzi del calcio a 5 (ma vale per tutti gli sport) e di questo ambiente. Purtroppo non lo si può fare se non partendo da persone che conoscono bene il CUS. Non è facile, ma per me il segreto per ripartire è questo.”
Il calcio a 5, secondo te, paga anche il momento infelice che sta vivendo il calcio a livello nazionale?
“Io penso di sì. Sicuramente anche dal punto di vista del calcio, le mancate qualificazioni ai Mondiali devono per forza di cose avere una rilevanza, che a cascata si riverbera anche sul calcio a 5. Anche questa è una lettura, certo. Mi rendo conto che si fa sempre più fatica a costruire squadre a differenza di qualche anno fa: una volta c’erano più gironi nella sola provincia di Caserta, mentre oggi squadre del Casertano vengono accorpate a gironi del Beneventano o dell’Avellinese. Anche il livello tecnico credo si sia abbassato, ma questa è una valutazione personale, fatta dall’esterno.”
Tu sei uno sportivo a tutto tondo, visto che oltre al calcio a 5 hai praticato e pratichi anche il tennis: mi tratteggi un po’ le differenze tra le due esperienze, in particolare quella tra sport individuale e sport di squadra?
“Considera che il mio primo sport è stato il tennis, con cui fu amore a prima vista. L’ho praticato per 7 anni consecutivi. Poi sono arrivato al punto in cui ho sentito la mancanza del rapporto con persone della stessa età e di un gruppo, quindi la condivisione di un risultato, positivo o negativo, e di un percorso. Con il tennis ero arrivato a giocare all’età di 13 anni con persone che avevano 10-15 anni più di me e inevitabilmente si iniziava a rasentare il professionismo, un qualcosa che all’epoca percepivo come troppo grande e per la quale non mi sentivo pronto.”
“Per questo motivo decisi di passare a uno sport di squadra, il calcio a 5. Se proprio devo dirti quale sia il mio sport preferito, ti dico sempre il calcio a 5, una storia durata circa 20 anni densa di esperienze di vita più che di sport. Adesso sono tornato a giocare a tennis riapprezzandone i pregi. In ogni caso li considero entrambi degli sport fantastici che hanno contribuito in maniera determinante a formare il mio carattere: il tennis, da sport individuale, ti insegna che puoi fare affidamento solo su te stesso, quindi tu sei l’unico responsabile tanto del positivo quanto del negativo: in pratica te la canti e te la suoni da solo; nello sport di squadra, invece, questo elemento è più nascosto, perché un compagno può sempre rimediare a un tuo errore, e viceversa tu stesso puoi rimediare a un errore del compagno, con una naturale condivisione di gioie e dolori.
In definitiva li consiglierei entrambi. Forse il tennis si può praticare (bene) anche in età più avanzata, mentre magari è più difficile che superati i 60 anni si possa giocare a buon livello il calcio a 5.”
Una differenza su cui vale la pena soffermarsi è anche l’arbitraggio: autogestito nel tennis e gestito (ma raramente rispettato) nel calcio a 5…
“Il tennis – almeno non a livelli professionistici – è l’unico sport dove c’è questa situazione, in quanto il giudice arbitro è sì presente, ma non è seduto lì ad arbitrare, e interviene solo in casi eccezionali. L’autogestione dei giocatori, se da un lato responsabilizza e in un certo senso favorisce una giusta etica dello sport, dall’altro però è normale che dipende sempre dalle singole persone, che possono essere più o meno corrette. Devo dire che per me è sempre necessaria la figura dell’arbitro; certo, pure in sua assenza, difficilmente nel tennis accade quello che accade nel calcio a 5 (dove a tutti i livelli le partite sono arbitrate), perché in linea di massima il tennis è rinomato come sport informato a princìpi di lealtà e correttezza, virtù che è raro ritrovare nelle partite di calcio a 5 dove l’arbitro difficilmente viene rispettato.”
Senti, e un tennista come te come si pone rispetto al padel e al boom che sta avendo questa disciplina?
“Il padel si è sviluppato proprio nel momento in cui sono tornato a giocare a tennis, l’ho praticato pochissime volte perché non ritengo sia il massimo… Però penso che il suo sviluppo abbia in un certo senso beneficiato della pandemia, momento in cui non era possibile praticare sport di squadra. Inoltre è una disciplina molto più semplice del tennis, quindi più inclusiva. Però preferisco 1000 volte il tennis al padel, pur riconoscendo a quest’ultimo le sue peculiarità. Mi viene in mente un po’ lo stesso paragone che si fa di solito tra calcio e calcio a 5: così come non è detto che un buon calciatore sia anche un buon calcettista e viceversa, allo stesso modo non è detto che un buon tennista sia anche un buon giocatore di padel e viceversa. Detto questo, ripeto: mille volte viva il tennis!”
Da sportivo a 360° invece come vivi il rapporto tra prestazione e risultato? Per te cosa conta maggiormente?
“Personalmente sono uno che in qualsiasi ambito sportivo se perdevo ci rimanevo malissimo, non dormivo la notte, ho pianto e urlato, ma più nel calcio a 5. La sconfitta non la vivevo bene. Poi, con il tempo, la maturità, ho considerato la presenza dell’avversario, più forte o in quel momento più forte, per cui bisogna avere la serenità di accettare la sconfitta. Preferirei sempre il risultato positivo a fronte di una buona prestazione senza risultato. Certo è che poi anche la sconfitta può insegnarti molto (la maturità di cui parlavo). In questo senso mi ha fatto crescere anche l’aver ricoperto diversi ruoli all’interno del CUS.”
Lo stesso spirito lo replichi anche nella tua attività di avvocato civilista, laddove quella che contrae l’avvocato con il cliente è un'”obbligazione di mezzi e non di risultato”, giusto per usare una terminologia giuridica?
“Hai detto una frase che io porto con me. L’attività dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Nel contesto professionale immetto la stessa grinta e la stessa voglia di vincere, anche se in un’aula di tribunale gli avversari sono molteplici: la controparte, il giudice, a volte il cliente stesso, il collega. Le varianti sono davvero diverse, per cui credo sia un contesto poco assimilabile a quello dello sport. Ovviamente la mia condotta è caratterizzata dalla massima responsabilità, e tuttavia non è detto che se dai il massimo vinci la causa. Anche in questo caso, la sconfitta la vivo male, con grande stress, ma la fedeltà alle linee difensive corrette e il rispetto del giusto procedimento, me la fanno accettare con la giusta filosofia. Non si può vincere sempre.”
Oltre allo sport e al lavoro, c’è spazio per qualche altra passione?
“Allo stato attuale non ho tempo per altre passioni, visto che l’80% delle mie energie le dedico al lavoro, come è giusto che sia in questa fase; però posso dirti che oltre ai miei nipoti, c’è una passione in arrivo che automaticamente acquisirà la priorità su tutte le altre, ed è mia figlia, che nascerà a novembre”.
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A cura di Luigi Fattore
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