Privacy Policy Giovanni De Rosa: "Scacchi meglio del calcio, a Camerino esperienza magica"

Giovanni De Rosa: “Scacchi meglio del calcio, a Camerino esperienza magica”

CASERTA – Ai Campionati Nazionali Universitari 2023 è stata la prima volta assoluta per gli scacchi tra gli sport opzionali, e anche il CUS Caserta, che dal 2021 ha aperto una sezione scacchistica, non poteva mancare a questo storico appuntamento.

A guidare la spedizione vanvitelliana, oltre al tecnico Donato D’Elia, c’era, in veste di capitano, Giovanni De Rosa, studente di Medicina al terzo anno, che racconta l’esperienza di Camerino e, in generale, la sua grande passione per questa affascinante disciplina.

Giovanni, al termine dell’esperienza del torneo universitario online disputatosi ad aprile, dove la formazione vanvitelliana si è comportata egregiamente, avevi auspicato che se ne organizzasse una versione in presenza. Ebbene, se da un lato sei stato accontentato, dall’altro come spieghi il passo indietro del CUS ai CNU di Camerino?

Beh, intanto va detto che c’era una differenza nella composizione delle squadre. In quella che abbiamo allestito per il torneo online abbiamo potuto contare sull’apporto di ex studenti molto forti, con molta esperienza alle spalle; mentre la formazione di Camerino era composta da giocatori con meno esperienza. Inoltre, dato non secondario, il livello di gioco dei CNU si è rivelato piuttosto alto, con tutte le rappresentative universitarie, forse ad eccezione di una, che si sono presentate con l’obiettivo di vincere.

Mi sento però di dire che il risultato (Il CUS si è classificato decimo su dieci squadre, ndr.) non rispecchia il nostro reale valore. Perché in base alle nostre prestazioni avremmo potuto classificarci tranquillamente al sesto posto. Solo che poi, visto che non potevamo più raggiungere il podio, per questioni logistiche legate al rientro a Caserta e al viaggio di quattro ore che ci aspettava, abbiamo deciso di ritirarci.

Suona anche banale dirlo, ma immagino ci sia molta differenza tra il giocare online e il giocare in presenza.

Assolutamente. Giocare online è un mondo diverso. Non hai la pressione di stare faccia a faccia con l’avversario, dietro un computer è più semplice muoversi, anche proprio da un punto di vista manuale, di spostamento dei pezzi. In presenza hai molti più pensieri, diversi gesti da compiere, come battere l’orologio, scrivere la mossa, situazioni che ti obbligano ad avere un focus su tante cose.

Poi online puoi anche settare il sistema in modo tale da visualizzare la proiezione del movimento che andresti a fare, cosa che dal vivo ovviamente non puoi fare. Un’altra differenza è che sul pc puoi inserire le freccette, mentre in presenza è tutto nella tua mente.”

E poi non si può certo restare indifferenti a un avversario in carne e ossa che ti sta davanti…

Eh, l’avversario ti condiziona, è inevitabile. Ci sono molte fasi della partita in cui la situazione non è mai chiara. Ad esempio, se vedi il tuo avversario particolarmente tranquillo, sei portato a pensare che magari il problema è il tuo, e questa situazione può essere fonte di agitazione; ovviamente vale anche l’inverso: se tu sei tranquillo mentre il tuo avversario è agitato, vuol dire che probabilmente le cose stanno andando in tuo favore.

Guardare tanto l’avversario è un elemento costitutivo di un gioco in cui la psicologia ha una rilevanza fondamentale. Per questo motivo ritengo gli scacchi uno sport completo, perché richiede tanto lo sforzo fisico (di tipo ovviamente mentale) legato alle mosse da effettuare sulla scacchiera, quanto una tenuta psicologica. A volte si è portati a guardare troppo l’avversario, a guardare dove guarda l’avversario, ciò distogliendo l’attenzione dalla scacchiera. Ecco, magari, anche se non è semplice, può essere una strategia vincente non guardare l’avversario e concentrarsi sulla scacchiera, per non correre il rischio di farsi condizionare.

Cosa ti ha lasciato a livello emotivo l’esperienza dei CNU? L’apertura delle ostilità è stata anche preceduta dall’esecuzione dell’Inno di Mameli, a conferma della solennità di un momento di rilevanza nazionale.

È stato tutto molto emozionante. Per l’atmosfera che si respirava, per l’Inno di Mameli, per la circostanza di trovarsi in un contesto dove confluivano tante rappresentative universitarie provenienti da tutta Italia. Condividere la passione per gli scacchi a questo livello è stata un’esperienza davvero magica. Poi, per quanto mi riguarda, c’era anche l’onore di essere il capitano della squadra, quindi con quel ‘quid’ in più di rappresentanza, sia della squadra sia dell’università Vanvitelli. Diciamo che se da un lato c’era molta più pressione, dall’altro c’era anche più magia. Ripeto: esperienza straordinaria.”

Quali mansioni svolge in concreto il capitano di una squadra di scacchi?

Il capitano della squadra, oltre al lato burocratico (firma del tabellone etc.), come ruolo più importante ha quello di gestire la squadra. Deve avere una visuale completa su quanto sta facendo la squadra, sia se ha finito la sua partita sia se è ancora in gioco. Il capitano può dire, sulla base dei punteggi del momento, quale risultato devono perseguire i compagni di squadra: se serve una vittoria per vincere può dire ‘Gioca per vincere’, mentre se è sufficiente un pareggio può dire ‘Gioca per il pareggio’ o anche, se necessario, ‘Abbandonare la partita’.

Questo potere direttivo è esclusivo del capitano, nessun altro membro della squadra può averlo. Quindi è un ruolo molto impegnativo, anche perché a nessuno piace perdere, quindi dover dire ‘Abbandona’ è una responsabilità non da poco. Non è semplice. Anche la gestione da un punto di vista emotivo – perché ognuno ha un suo caratttere, una sua sensibilità – non è affatto semplice. Per questo a volte sei frenato dal dire ‘Pareggia’ o ‘Perdi’.

Come si è arrivati alla tua elezione di capitano?

Tutto è nato dai campionati online. Quando non riuscivamo a fare la squadra per partecipare, ero molto impegnato con lo studio, Donato (D’Elia, ndr.) mi chiamò e mi convinse. Mi attivai e riuscimmo a mettere insieme una rosa competitiva. Donato poi mi illustrò il da farsi, che comprendeva, tra l’altro, anche il dovermi sentire con tutti i capitani delle altre università per concordare giorni e orari delle partite. Penso comunque di aver fatto un buon lavoro come capitano.

Invece come giudichi la tua performance di Camerino da un punto di vista individuale?

Io sono orgogliosissimo della mia performance a Camerino. Mi è capitato di giocare al secondo turno con un Candidato Maestro. Io sono una Terza Nazionale con un ranking di 1530 (Elo), e ho dovuto fronteggiare un avversario che ne contava ben 2040: 500 punti in più a livello scacchistico sono davvero tanti. Per questo sono arrivato sulla scacchiera carico di responsabilità e pressione. Quando comincia la partita, però, noto che l’avversario inizia a pensare molto, e che non è affatto sereno. Al che mi tranquillizzo, e poi, mossa dopo mossa, riesco a strappare un pareggio.

La soddisfazione è stata enorme, anche perché io gioco solo da due anni con appena tre tornei alle spalle, contro i settanta che vantava il mio rivale. La doccia fredda è stata poi perdere nel quarto turno, con un altro Candidato Maestro. Ma ci sta, lo accetto. Anche perché poi, al termine della partita, ci siamo confrontati, abbiamo analizzato la partita. Quindi è stato un momento di arricchimento.

Insomma, pare di capire che questa esperienza ti ha reso un giocatore migliore.

Mi sento migliorato sicuramente. Sia a livello personale che a livello scacchistico. Mi porto dietro tante cose, anche il solo vedere come giocano i candidati maestri, la loro gestione sia tecnica che emotiva. Sono cresciuto a livello sportivo. Anche perché in Promozione non incontriamo giocatori di questo livello. Mi fan ben sperare per il futuro, magari posso migliorare ancora. Ovviamente, però, per alzare il livello di gioco non basta partecipare ai tornei, bisogna anche studiare. E siccome devo portare avanti la mia carriera di medico, studiare anche per gli scacchi mi risulterebbe molto molto pesante.

A proposito della carriera di medico, non ti sembra un po’ contraddittorio che uno scacchista, ovvero uno che deve tenere a bada le emozioni e, all’occorrenza, essere anche spietato, decida poi di curare il cuore delle persone e specializzarsi quindi in Cardiologia?

Beh, diciamo che un medico cura sempre il cuore degli altri (ride, ndr.)! Durante le partite, però, mi affranco dalla mia aspirazione di medico e sono interamente uno scacchista. Comunque io in realtà volevo fare il cardiochirurgo, poi c’ho riflettuto un pò nel corso degli anni, e ho capito che in futuro mi piacerebbe dedicare il giusto tempo alla famiglia, e in questo senso la cardiochirurgia mi toglierebbe molto tempo, vista la reperibilità h24 che bisogna assicurare, e non mi farebbe godere degli affetti. Quindi ho optato per la cardiologia, che ha sì una componente anche chirurgica ma si tratta di una quota irrisoria rispetto alla componente clinica, che, tra l’altro, consente anche di stabilire un contatto con il paziente, cosa che nella cardiochirurgia non esiste. A livello cardiologico metti in campo anche l’empatia.

Conserveresti l’empatia anche con un paziente che ti ha battuto a scacchi?

Sì, questo sicuramente (ride, ndr.). Gli scacchi sono belli anche per questo. Tu all’inizio stringi la mano, parte l’orologio e poi comincia la ‘guerra’. Poi, al termine della partita, qualunque sia il risultato, si firma la ‘pace’. Poi però, inutile negarlo, ci sono avversari con cui resta un po’ di astio, perché o ti hanno battuto o sono antipatici e/o presuntuosi. Li curerei lo stesso, ovviamente! L’importante è fare sempre del proprio meglio, sia sulla scacchiera, per ottenere il miglior risultato possibile, sia come medico, per trovare la cura adatta al paziente che presenta una patologia cardiaca.

“Gli scacchi allenano la capacità di problem solving, un qualcosa che mi servirà anche nella mia carriera di medico”


(Giovanni De Rosa)

Prima hai detto che giochi a scacchi da appena due anni, mentre hai un passato anche da calciatore. Com’è avvenuto il passaggio dal rettangolo verde alla scacchiera?

Mi infortunai al ginocchio, come tutti gli esterni. Io ho iniziato a giocare a calcio a 7 anni, non in maniera tanto continua, perché per i miei genitori lo studio ha avuto sempre la priorità: le altre attività erano residuali. Poi, per questioni lavorative dei miei genitori, ci siamo trasferiti in Sardegna, dove sono stato per circa tre anni, e lì ho iniziato a giocare a calcio con maggiore continuità.

Con la mia squadra, con il permesso della Federazione, giocavamo nel campionato 1999/2000, benché fossimo tutti 2000/2001. Ebbene, in un contrasto (scontro ginocchio contro ginocchio) di gioco con un ragazzo più grande di me, alto un metro e 80 per settanta kg, ho subìto danni al ginocchio. Da lì sono rimasto sei mesi fermo, con il susseguente periodo di riabilitazione e quant’altro. Non mi sono sottoposto a un intervento chirurgico, perché l’entità del danno non lo rendeva necessario, tuttavia i legamenti si sono indeboliti, perciò poi è comunque subentrata la paura di subire un nuovo infortunio. E non si può certo giocare a calcio con la paura di farsi male. Anche il parere dei medici era nel senso di non proseguire con l’attività agonistica.

Quindi da quel momento chiusi con il calcio, mi sono dedicato maggiormente allo studio, ho avuto la soddisfazione di passare il test di Medicina, e da lì in poi, anche grazie a Donato D’Elia, mi si è aperto il mondo degli scacchi. Feci anche un buon torneo al mio esordio, e giocando contro giocatori titolati praticamente ho acquisito subito un punteggio, entrando appunto come ‘Terza Nazionale’. L’esordio positivo mi ha incentivato ad approfondire questo sport.

Diciamo che il colore bianconero della scacchiera è anche coerente con la tua passione per la Juventus…

Beh, aiuta. Ti fa sentire in un certo senso a casa. Comunque, se oggi dovessi scegliere tra scacchi e calcio, se potessi tornare indietro, sceglierei senza dubbio gli scacchi. Gli scacchi mi hanno dato la consapevolezza che, anche se non sei nessuno, con l’attenzione, il ragionamento, puoi toglierti comunque le tue soddisfazioni. E visto che ho scelto una strada, un futuro in cui dovrò usare molto il cervello, allora andrò avanti con gli scacchi. Perché la pratica degli scacchi migliora la capicità di problem solving, che è proprio quello che mi servirà da medico. Il capire una posizione di gioco, che può essere rapportata anche alla comprensione di una situazione clinica, e trovare quello che non va in quella posizione, stimola a trovare la soluzione corretta caso per caso. Ecco, gli scacchi allenano a trovare soluzioni. Gli scacchi mi possono aiutare a diventare un ottimo medico.

Quindi ti senti di consigliare la pratica di questa disciplina?

Io già la sto consigliando anche ai miei amici universitari. Non è un gioco così noioso come si è portati a pensare. Alla fine è un gioco molto molto divertente se lo prendi con filosofia, soprattutto fino a quando non diventa agonistico. Logicamente, quando si alza il livello di gioco, hai sempre da perder qualcosa, quindi ti diverti un po’ meno perché c’è un po’ di pressione. Però, ad esempio, se anche un venerdì sera non hai nulla da fare e vuoi passare la serata in un modo tanto divertente quanto stimolante, puoi sempre connetterti con il tuo pc o con lo smartphone e prendere parte a delle partite online.

In definitiva, quello degli scacchi è un mondo nuovo con altissimo potenziale di crescita, ed è uno sport praticabile da chiunque. Non solo: gli scacchi, è stato dimostrato, creano nuovi percorsi neuronali, allenano il cervello, senza contare che possono favorire l’apprendimento delle lingue straniere, visto che puoi trovarti a giocare con giocatori provenienti da tutto il mondo. Per questo mi auguro che un domani anche mio figlio intraprenda la mia stessa passione”.

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A cura di Luigi Fattore

©Riproduzione Riservata

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